Capire la fotografia contemporanea. Denis Curti.

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cliqueur
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Ho scovato questa interessantissima guida pratica di Denis Curti, che in 359 pagine ci propone il suo punto di vista sull'evoluzione della fotografia a partire da Schulze e Wedgwood (XVII e XVIII secolo) e poi Daguerre, Niepcè, Nadar, Man Ray, Rodčenko, Moholy-Nagy, Sander.
E poi Evans, Lange, Rothstein, Salomon, i fratelli Alinari.
I fotografi più "moderni": Weegee, Patellani, Munari, Taro (la ragazza con la Leica), Chaldej.
Il neorealismo postbellico, Stieglitz, Steichen, the Family of Man, la fondazione di Magnum Photos.
I fotografi italiani, i circoli (la Bussola a Milano, la Gondola a Venezia).
La street photography (che personalmente continuo a credere non esista come genere).
La documentazione sociale. Klein, Arbus, Frank e Lisette Model, Leiter, Szarkowski, Eggleston.
Gli italiani da Ghirri a Cresci, Guidi, Chiaramonte, Mulas.
Sherman, Gursky, i Becher, Struth, Ruff e Höfer, Goldin e tutti gli altri.

Non manca nessuno.

Ci presenta una selezione di quelli che considera "i maestri" e ce ne fornisce "schede" descrittive:
  • Erwitt
  • Cartier-Bresson
  • Capa
  • Kertesz
  • Migliori
  • Giacomelli
  • Mulas
  • Scianna
  • Berengo Gardin
  • Battaglia
  • Salgado
  • Fontana
  • Ghirri
  • Barbieri
  • Campigotto
  • Jodice padre e figlio
  • Basilico
  • Galimberti
  • Newton
  • La Chapelle
Ci dà anche una chiave per riconoscere i maestri: 1) la fotografia mai neutrale; 2) se non hai una storia da raccontare non hai niente; 3) se hai una storia devi saperla raccontare decidendo il tuo punto di vista; 4) raccontare per immagini significa accettare la sospensione dell'incredulità; 5) rinuncia alla singola fotografia a favore di una sequenza narrativa.

Infine ci parla di mercato e formazione, collezionismo, corsi e festival, ed un capitolo "oltre il reale: la fotografia alla prova del digitale".

A me è piaciuto, mi sono piaciute le chiavi di lettura, anche considerate le preferenze di Curti, che però è sempre Curti.

Ps mi ha fatto piacere scoprire che la maggior parte degli autori che Curti cita li conosco bene.
Enrico-To53
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grazie per la dritta, ho visto che si trova anche da Feltrinelli
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maucas
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Grazie. Ordinato.
Maurizio Cassese.
cliqueur
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maucas ha scritto: mer mag 05, 2021 10:04 am Grazie. Ordinato.
:-)

diciamo che la scelta, obbligata, è un po' limitante.
Ma il metodo di riconoscimento dei "maestri" è molto buono.
Certo,
  • c'è Annie Leibovitz, ma prima viene Newton
  • c'è Paolo Pellegrin o Lynsey Addario, ma prima viene Capa
C'è Nachtwey, Koudelka, Majoli, Parr, McCullin, Ut, Bourke-White, Mark, Boulat, ...

Ma sono talmente tanti che ci sarebbe voluta una enciclopedia. E Curti non è certo l'unica fonte.

Buona lettura!
abschied
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Grazie per la segnalazione! l'ho già ordinato.
Paolo Viviani
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mauro ruscelli
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Io ce l’ho da tempo senza aver mai cominciato a leggerlo. In parte ne sono attratto in parte respinto. La faccenda della storia da raccontare mi intriga, io tutt’ora e’ un concetto che fatico a capire. Certo le foto buone raccontano una storia, le foto rappresentano il fotografo… ok tutto bello. Ma la storia da raccontare uscendo dal reportage o da costruzioni cerebrali mi è’ difficile da digerire
Mauro

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Enrico-To53
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non dico nulla delle costruzioni cerebrali, non dico nulla perché non mi appartengono, ma il reportage per sua stessa natura E' storia raccontata.
certamente con altri generi gli autori possono farlo o meno, o cercare soltanto una qualche "artisticità", ma (ribadisco) se parliamo di fotoreportage parliamo necessariamente di racconto; forse per altri generi sarebbe meglio usare il termine "esprimersi" piuttosto che "raccontare"
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mauro ruscelli
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corretto, infatti e' quello che ho detto, nel reportage mi e' chiaro e raccontare e' proprio lo scopo di quel tipo di fotografia. Sento pero sempre piu' spesso parlare di cosa vuole raccontare il fotografo anche riferito ad altri generi, faccio un esempio, se parliamo di un fotografo che fa ritratti, tutti piuttosto stretti sul volto, fondo sempre bianco, luci omogenee frontali.. possiamo interrogarci davvero su cosa vuole raccontare o dire il fotografo? per me no, ma credo di essere in minoranza.
Mauro

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Enrico-To53
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giusto Mauro, altra cosa che non mi piace per nulla è l'uso del testo/racconto accompagnato da immagini insignificanti e/o incomprensibili.
sembra quasi che oggi (basta seguire una qualsiasi lettura portfolio per rendersene conto) il raccontare non sia delegato alle fotografie ma ad uno scritto affiancato. insomma, vedi foto di un tombino, di un muro sbrecciato e a voce legarle con funambolici significati che nelle immagini non esistono.
questo è racconto fotografico?
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mauro ruscelli
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il testo.. questo e' un argomento spinoso, credo anche io che l'immagine non debba essere caricata di significati che da sola non e' in grado di supportare, ma per contro abbiamo diversi fotografi da Frank a Duane micheals che scrivono sulle foto come alcuni meravigliosi taccuini e come fa anche max pam.
Io ho scritto brevi testi autobiografici, aggiungendo foto, foto che da sole non starebbero in piedi, ma che servivano nel testo. Quindi si, direi che concordo con te, ma bisogna fare attenzione... ovvio se parliamo di cose che si vedono su internet o sui social e' vero al 1000% quello che dici
Mauro

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cliqueur
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Mettere insieme fotografie che si colleghino l'una all'altra in un fluire dinamico è qualcosa sulla quale sto lavorando, faticosamente, da tempo. Mi risulta molto arduo coniugare il mio naturale atteggiamento speculativo e meta-concettuale con il linguaggio fotografico che, nella maggior parte dei casi, è esplicito e diretto.

La fotografia di una pipa rappresenta una pipa e chiunque può fotografare una pipa. A differenza della pipa di Magritte che invece è stata rappresentata come Magritte sapeva rappresentarla e che, inoltre, si è avvantaggiata dell'aura del pittore per stimolare da parte degli osservatori approfondimenti fuori dall'ordinario.

Messaggi simbolici si riescono a trasmettere tramite una fotografia solo se il simbolo è già radicato nella percezione comune degli spettatori, almeno di alcuni di essi.

In altre parole, posso associare qualsiasi significato desidero alle immagini che riprendo, ma se non mi riesce di evocare significati codificati e noti, oppure se non riesco a far scattare nello spettatore il desiderio di indagare e sviluppare strutture interpretative dei simboli, la fotografia che ne risulta sarà banale o didascalica.

Soprattutto se è impossibile distinguerla dalle centinaia di altre dalle quali siamo inondati.

No Mauro, le foto buone non raccontano una storia. Come belle parole e frasi auliche non fanno un buon racconto o un buon romanzo. È il messaggio generale, il contesto, la struttura e l'articolazione delle sequenze delle immagini che raccontano la storia. Quindi la mia capacità di concepirla, crearla, strutturarla e realizzarla.

Le foto buone sono solo un "di cui".
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mauro ruscelli
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Su questo dissento, anche la singola immagine può raccontare, e non parlo solo delle immagini del world press photo. Ma anche immagini come le mie ambientate ma non troppo chiare, lontane dal realismo del la pipa e’ una pipa, ma che obbligano il cervello ad uno sforzo di curiosità. Ci sono storie nelle foto, o ci possono essere. Non necessariamente quelle dell’autore ma questo è già stato studiato in semiologia e lo diamo per certo
Mauro

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cliqueur
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Mauro, mi sono espresso male, avrei dovuto aggiungere “non necessariamente”, e credo diciamo la stessa cosa. Va definita “la buona foto”.
Può raccontare una storia, certo.

La fotografia della bambina vietnamita bruciata che corre nuda è una storia potentissima, come la foto della bambina e l’avvoltoio.

Il cane nei giardini di Versailles di Koudelka non so se sia una buona foto - probabilmente si - ma racconta una storia all’interno del flusso di immagini di “Exiles”, gli esilii, di cui è un “capitolo” importante.
cliqueur
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Per quanto riguarda il ruolo del testo dovremo rassegnarci: dipende.
  • una storia dovrebbe reggersi sulle fotografie, Enrico ha ragione. Il testo può essere un accompagnamento ma assolutamente non la storia in se. È vero che nelle letture di portfolio si propongono storie che si reggono solo perché c’è il testo. Alcuni lettori si fanno ingannare e scambiano le due cose
  • Il testo può essere elemento essenziale dell’opera, che però in genere poggia prevalentemente sulle foto, se no è un’altra cosa.
roger
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cliqueur ha scritto: dom mag 02, 2021 10:46 pm Ho scovato questa interessantissima guida pratica di Denis Curti, che in 359 pagine ci propone il suo punto di vista sull'evoluzione della fotografia a partire da Schulze e Wedgwood (XVII e XVIII secolo) e poi Daguerre, Niepcè, Nadar, Man Ray, Rodčenko, Moholy-Nagy, Sander.
E poi Evans, Lange, Rothstein, Salomon, i fratelli Alinari.
I fotografi più "moderni": Weegee, Patellani, Munari, Taro (la ragazza con la Leica), Chaldej.
Il neorealismo postbellico, Stieglitz, Steichen, the Family of Man, la fondazione di Magnum Photos.
I fotografi italiani, i circoli (la Bussola a Milano, la Gondola a Venezia).
La street photography (che personalmente continuo a credere non esista come genere).
La documentazione sociale. Klein, Arbus, Frank e Lisette Model, Leiter, Szarkowski, Eggleston.
Gli italiani da Ghirri a Cresci, Guidi, Chiaramonte, Mulas.
Sherman, Gursky, i Becher, Struth, Ruff e Höfer, Goldin e tutti gli altri.

Non manca nessuno.

Ci presenta una selezione di quelli che considera "i maestri" e ce ne fornisce "schede" descrittive:
  • Erwitt
  • Cartier-Bresson
  • Capa
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  • Migliori
  • Giacomelli
  • Mulas
  • Scianna
  • Berengo Gardin
  • Battaglia
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  • Fontana
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  • Barbieri
  • Campigotto
  • Jodice padre e figlio
  • Basilico
  • Galimberti
  • Newton
  • La Chapelle
Ci dà anche una chiave per riconoscere i maestri: 1) la fotografia mai neutrale; 2) se non hai una storia da raccontare non hai niente; 3) se hai una storia devi saperla raccontare decidendo il tuo punto di vista; 4) raccontare per immagini significa accettare la sospensione dell'incredulità; 5) rinuncia alla singola fotografia a favore di una sequenza narrativa.

Infine ci parla di mercato e formazione, collezionismo, corsi e festival, ed un capitolo "oltre il reale: la fotografia alla prova del digitale".

A me è piaciuto, mi sono piaciute le chiavi di lettura, anche considerate le preferenze di Curti, che però è sempre Curti.

Ps mi ha fatto piacere scoprire che la maggior parte degli autori che Curti cita li conosco bene.
Ho visto che nella lista maestri è virgolettato ma fatico sempre a comprendere perché Galimberti (presumo Maurizio) viene considerato un maestro. Non sono assolutamente in vena di polemiche sia chiaro. Solo che lo trovo sopravvalutato e con sopravvalutato non intendo dire che lui si sopravvaluta e sopravvaluta le sue capacità e il suo lavoro ma che è il pubblico a farlo. Specifico perché mi è capitato in altri tempi e altri luoghi di dire che Martin Parr è sopravvalutato e si è scatenato l'inferno. Allo stesso tempo in quella lista, a mio parere, mancano molti nomi.
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